sabato 19 aprile 2025

                 Appunti di artista per "Incredulità di San Tommaso" - Caravaggio (1601)



 

L’olio su tela “L’incredulità di San Tommaso” di Caravaggio, esposto alla Bildergalerie di Postdam, mostra la seconda apparizione di Cristo ai suoi discepoli e in questo frangente Egli esorta san Tommaso a verificare di sua mano i segni postumi alla sua Resurrezione, avvenimento a cui quest’ultimo non credeva (da Giovanni 20,19-31 “Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!”). L’artista pone i protagonisti per i tre quarti delle loro figure, utilizzando la tela nel verso orizzontale, e costruisce una formazione a croce con le loro quattro teste; la parte sinistra è occupata solamente da Gesù, mentre il restante spazio è diviso fra Tommaso e gli altri due uomini. La costruzione pittorica poggia su due linee che si intersecano: quella orizzontale percorre il braccio di Tommaso e le mani di Gesù, mentre quella verticale passa fra le teste dei due apostoli e prosegue lungo il collo di Tommaso. La luce proveniente da sinistra contrasta col fondo scuro e spoglio e pone rilievo al gesto di brutale verifica del dito nella ferita esangue; e se da un lato sfiora e rischiara, con delicatezza, il torace candido di aura mistica, dall’altro incide le tre fronti corrugate dall’umano stupore, e poi ne restituisce i corpi all’ombra. C’è la sospensione di quel momento, l’evidenza del peccato compiuto dagli uomini. E quando anche la curiosità dello spettatore focalizza il gesto e riscontra il male inflitto a Gesù, prova l’imbarazzo di una corresponsabilità, e distoglie lo sguardo.

 

martedì 15 aprile 2025

  Appunti di artista per: Marcel Marceau, in silenzio contro l'Olocausto.



Lui è Marcel. Nasce a Strasburgo il 22 marzo 1923. E’ al cinema con la mamma Anne, quando rimane incantato dal personaggio vagabondo e muto di nome Charlot. Ha cinque anni e sogna di diventare un mimo. Cresce e aiuta il papà Charles nel negozio di macelleria; ma la sera si incolla dei baffi finti e interpreta quella figura cinematografica a lui cara, in un piccolo locale della città. Scoppia la seconda guerra mondiale e la campana della chiesa suona l’evacuazione: hanno solo dieci giorni per organizzare l’esodo cittadino e abbandonare la loro vita passata, insieme ai sogni. La sua famiglia, come tante, è di origini ebree, e la Germania di Hitler è a pochi chilometri di distanza. E’ una fuga collettiva verso il sud della Francia e ci si aiuta come si può, ognuno fa il suo. Ci si stringe sui camion, si porta in salvo chiunque. Così arrivano a Limoges. Nel ’41 la rapida avanzata dei nazisti procura deportazioni e morte, senza risparmiare quei bambini ebrei che sono già rimasti orfani. Marcel ha solo diciassette anni ma capisce che non può rimanere spettatore di tanta crudeltà e si unisce al fratello Alain e al cugino George, già militanti della resistenza francese. Le sue mani che mimavano Charlot, ora diventano lo strumento capace di falsificare i nomi sui documenti, ma la clandestinità per lui è finalizzata alla salvezza di quegli orfani soli e perseguitati, piuttosto che ad atti di rappresaglia. Esiste una debole ma pericolosa possibilità di portare in salvo un centinaio di bambini, ospiti dell’orfanotrofio, con la speranza di non essere intercettati e scoperti dalla Gestapo. Dovranno fingere di essere un gruppo di boy-scout in gita in montagna e Marcel sarà il loro accompagnatore. Si pianifica un viaggio in treno da Lyon verso la Svizzera, attraversando a piedi l’ultimo tratto delle Alpi innevate. I bambini conoscono bene quel giovane: con lui hanno ricominciato a ridere nei pomeriggi pieni di tristezza di quei luoghi di accoglienza. Lui è il ragazzo che fa le facce buffe e finge di correre al rallentatore controvento, quello che fa scomparire un fiore tra le sue mani o fa capolino dietro una parete invisibile. Dall’esperienza bellica in clandestinità, ricercato come ebreo e come membro della Resistenza, Marcel ha imparato “l’arte del silenzio”, il controllo delle proprie azioni e emozioni ed ora ha il compito di insegnare a quelle giovani vite come rendere “invisibile il visibile”. Non sarà finzione l’aver paura quando incontreranno i controllori nazisti sul treno, ma rimarrà una realtà invisibile. E se per un istante si sentiranno persi, ci sarà lo sguardo rassicurante o un gesto della mano, a dare loro coraggio. Per ciascuno dei tre viaggi verso la salvezza, Marcel ha sempre catalizzato l’attenzione dei bambini e controllato il loro silenzio nei momenti di maggior pericolo. Queste le sue parole: “Le persone che sono tornate dai campi di concentramento non sono mai state in grado di parlarne… Mi chiamo Mangel. Sono ebreo. Forse questo, inconsciamente, ha contribuito alla mia scelta del silenzio”. Salva centinaia di bambini dai viaggi dell’Olocausto. Diventerà il mimo più famoso al mondo. Lui si chiama Marcel Marceau.

lunedì 14 aprile 2025





Appunti di artista per "L'Arca di Noè" di Marc Chagall  (1966)



L’opera “L’Arca di Noè” di Marc Chagall è il primo esempio iconografico dell’episodio del Diluvio, che mostra l’interno dell’Arca piuttosto che l’immagine della stessa nei tumultuosi gorghi dell’acqua, fino ad allora rappresentata. Non è la visione sacra di una salvezza giudicante gli uomini corrotti, bensì una composizione emotiva e descrittiva di una seconda rinascita dell’umanità. Nel vortice circolare del blu del cielo e del mare, fra la schiuma vaporosa e le nuvole, Noè lascia andare la colomba in direzione della terra: solo la seconda volta, quando si presenterà col ramo di ulivo nel becco, vi sarà il segno del riaffiorare delle fronde delle piante, e perciò del ritiro delle acque. E sarà il tempo di tornare sulla terraferma. La parte sinistra della tela è occupata quasi completamente dagli animali, alcuni descritti anche con evidenza di  colore, rispetto ad un contesto monocromo; qui lo sguardo dello spettatore li segue dal basso verso l’alto: c’è un leone blu ed è posto sotto un cervo giallo, poi si vede un grosso pesce salire vero la luce, contrapposto ad un uomo che  scende verso il fondo; e vicino roteano capre e uccelli, mentre sopra sono ben evidenziati dalle pennellate, un cavallo bianco e un pavone con la coda rossa (simbolo della salvezza eterna). Sulla sommità, è dipinta la scala simbolica di Giacobbe, che permise l’entrata e favorirà l’uscita degli animali, a cui si affianca un angelo sorridente – il tramite di Dio con gli uomini – , a sua volta collocato vicino ad un punto giallo (il sole), che rischiara il cielo e dirada le nuvole. Presente l’agnello rosso sangue, simbolo del sacrificio di fede. La parte destra è occupata dall’umanità, descritta con coppie abbracciate e donne con bambini. Il particolare della donna col braccio alzato racconta il ritorno alla vita, il calore, lo scorrere del sangue mentre il piccolo a braccia tese, in braccio ad una madre col capo coperto dal velo, è la raffigurazione di Gesù e Maria, nel racconto delle future persecuzioni ebraiche. Infine, centrale nella tela, compare la testa di una mucca bianca, accarezzata da Noè; si pensa che sia la mucca che Chagall vedeva dalla finestra di casa sua, quando era bambino, legata al paletto davanti alla macelleria. E’ una spettacolare opera descrittiva, che genera piacevolezza agli occhi ma inquietudine all’animo. 

 

sabato 12 aprile 2025

 

Appunti di artista per: un aneddoto di Marcello Mastroianni ne "La dolce vita".



Lui si chiama Marcello. E’ nato nel 1924 a Fontana Liri. Nella sua famiglia la priorità è crescere coi sani principi e dare ascolto all’arte: nell’albero genealogico compaiono alcuni antenati lanaioli, ceramisti e figurinisti, poi c’è nonno Vincenzo e papà Ottorino, entrambi eccelsi ebanisti, nonché zio Umberto, famoso scultore. Ma l’arte, spesso paga i sacrifici con tanto pane e poco companatico. Si ha memoria di particolari momenti dell’infanzia, laddove si sovrappongono le percezioni sensoriali: Marcello si ricorda di una casa a Torino, di quattro stanze condivise da tredici parenti, in cui si soffriva la fame e si pativa tanto il freddo. Quel freddo, gli è rimasto nelle ossa. Finita la guerra, Roma diventa la sua città e la recitazione il suo lavoro. Ad ogni uscita di un film in cui recita, papà Ottorino e mamma Ida si accomodano fra le poltrone del cinema a guardare il loro figliolo; però, lui ha seri problemi di vista e lei di udito così, a turno, si raccontano le immagini o il sonoro. E la tenerezza è lo spettacolo regalato a chi siede accanto a loro. In questi giorni Marcello è sul set di un film diretto dall’amico Federico. Al suo fianco recita una donna bellissima, Anita, e si stanno preparando alla prossima scena che si girerà in una fontana di Roma. E’ febbraio e il freddo non fa sconti, nonostante la città eterna sia generosa con i suoi pellegrini in qualunque stagione. Ciak, si gira! La sensuale e bionda attrice è già nell’acqua da qualche minuto, e gioca divertita, nell’abito nero scollato, che le lascia scoperte le spalle. E’ di sangue svedese e quella bassa temperatura non la scompone. Sorride, quasi danza sinuosa verso il centro della fontana: in una mano regge la stola di pelliccia, e con l’altra raccoglie un po’ d’acqua e ne lancia gli schizzi. Poi fa una giravolta e allunga un braccio. La sua bellezza statuaria mette in ombra quelle figure secolari di marmo che fanno da cornice alla scena. Invita il partner a sé. Ma Marcello resta immobile. Si fermano le riprese. Lui ha troppo freddo, al sol pensiero sente le gambe irrigidirsi e chiede un bicchiere di vodka per scaldarsi. Passano i minuti e cresce la folla degli spettatori intorno al set. Si accalcano ovunque sia concesso ammirare quella splendida e anfibia creatura, e attendono di capire lo svolgersi dell’azione. Federico intanto verifica le titubanze dell’attore e lo sollecita scherzosamente. Lui però, dopo aver toccato il pelo dell’acqua con la mano, si ritrae e chiede un altro bicchiere di vodka. E’ dispiaciuto, lo si comprende dallo sguardo che indirizza alla sua partner a mollo, allargando le braccia, senza dire una parola. Allora Anita fa due giravolte e il mormorio della folla, sale. Dopo un ulteriore bicchiere, qualcuno trova la soluzione: una tuta da sommozzatore. Si improvvisa un paravento. Marcello si spoglia, infila il capo acquaiolo, poi indossa pantaloni, camicia giacca e cravatta e, d’improvviso, cambia espressione. Secondo ciak. “Marcello, come here! Hurry up!”; lui, senza esitazione alcuna, ma leggermente barcollante per l’alcool bevuto: “Sì, Silvia, vengo anch’io!”. Stop, perfetto. Al termine delle riprese un applauso generale sarà il commento al bagno notturno di Marcello Mastroianni e Anita Ekberg, diretti da Federico Fellini nel film cult “La dolce vita”.

venerdì 11 aprile 2025




Appunti di artista per la statua dei "Musicanti di Brema "- Gerhard Marcks (1953 bronzo)




Nella città di Brema, dal lato opposto della Cattedrale, si trova una statua di bronzo che rappresenta la favola dei fratelli Grimm “I musicanti di Brema”. Sono, dal basso all’alto, un asino, un cane, un gatto e un gallo e si trovano posizionati uno sopra l’altro. Secondo la narrazione, i quattro animali, diventati troppo vecchi per i loro padroni, maltrattati e non più utili, avrebbero fatto una fine ingloriosa (chi lasciato al suo destino, chi cucinato). Fuggiti dalle proprie fattorie si ritrovarono per strada e, insieme, decisero di arrivare a Brema per ricominciare una vita nuova e per unire le loro voci a quelle delle locali bande musicali. Affamati, si fermarono per strada davanti ad una casa di briganti e, saliti ognuno sulla schiena dell’animale più grosso, chi ragliando, chi abbaiando o miagolando o cantando, li spaventarono facendoli allontanare, dopodiché si sedettero a banchettare alla loro tavola. L’estremo tentativo di rientro in casa da parte dei briganti, con l’oscurità, trovò i quattro animali pronti a difendersi e, tra graffi, calci, e morsi, la lotta si concluse con la fuga definitiva dei fuorilegge. Così, anziché raggiungere Brema, i quattro nuovi amici decisero di rimanere in quella casa nel bosco, in accordo e amicizia. La statua è l’omaggio a questa bella favola.

La statua in bronzo fu creata da Gerhard Marcks nel 1953, uno scultore rinomato in Germania. Appassionato fin da bambino di zoologia e conoscitore della creta, per aver lavorato in una fabbrica di maioliche, fu onorato della commissione al punto da voler approfondire la sua conoscenza dell'anatomia faunistica tanto da vivisezionare gli animali per restare il più fedele possibile alla loro morfologia. Come sempre accade, tra detrattori e sostenitori, la statua che inizialmente doveva essere collocata in città per un tempo stabilito, rimase invece dove tuttora la possiamo ammirare. Per i viandanti in cerca di fortuna vige la consuetudine di accarezzare le zampe dell'asino. Mi raccomando, entrambe, perché solo sfregandone una si otterrà l'effetto contrario! 

mercoledì 9 aprile 2025

Appunti di artista: il Maestro Arturo Benedetti Michelangeli



  

Lui si chiama Arturo e nasce a Brescia il 5 gennaio 1920. Il padre Giuseppe è un avvocato che, per diletto, insegna storia della musica. Anche mamma Angela condivide la stessa passione per l’arte dei suoni e fra spartiti e armonizzazioni il piccolo Arturo si esprime al pianoforte già a tre anni. A quattordici esce dal portone del Conservatorio di Milano col diploma in tasca e a diciotto dà sfoggio della sua impeccabile perizia ad un concorso presieduto da Arthur Rubinstein. Vince concorsi, poi ottiene cattedre e lo definiscono il nuovo Liszt, ma lui rimane con le mani ben salde sui tasti, nel suo mondo fatto di musica. Studia meticolosamente ogni composizione e dopo infinite ripetizioni di battute musicali raggiunge la perfezione esecutiva al punto che Chopin, Mozart o Bach sembrano seduti al suo fianco, a prestargli le loro mani. E gira il mondo per concerti con un ingombrante bagaglio al seguito, il suo pianoforte a coda Steinway & Sons. In questo periodo è di passaggio a Milano e, come spesso accade, si prepara per un piacevole incontro con Giuseppe, un amico, tra i migliori accordatori che conosca. Il sciur Pepin, come lo chiama, è anche tra i pochi rappresentanti multimarche di pianoforti, e una visita al suo magazzino significa poter ascoltare “la voce” degli Schiedmayer o gli Scholze o gli italiani Anelli di Cremona: in quest’ultima marca ne rientra uno, il modello verticale 10, che rapisce la sua curiosità, per il timbro potente e pieno. Giuseppe lo aspetta sulla porta, col suo camice nero e lo sguardo trasparente; Arturo lo abbraccia sorridente e pallido. Dopo le chiacchiere, l’uno resta nello stanzone di sinistra tra i pianoforti scordati, l’altro si dirige a destra tra quelli ritornati a cantare. “Papà, è arrivato il Maestro?” “Sì, Camilla, è andato a suonare un po’. Si fermerà a cena, passa dal macellaio”. Lei si sofferma qualche minuto, nel corridoio che unisce quei due mondi che si completano: le mani di suo padre accarezzano le corde, quelle di Arturo i tasti, ma entrambi usano la medesima sensibilità e lo stesso cuore. La ragazza riconosce le note della quarta battuta di “Per Elisa” di Beethoven, e poi esce. Arturo è seduto allo sgabello, muove le dita con garbo e suona solo tre note, le ripete, in cerca della loro armonia. Poi, ricomincia da capo. Si avvicina col viso alla tastiera, quasi ad andare incontro al suono. E ancora, le stesse tre note. Ancora. Chiude gli occhi, si sofferma e riprende. Trascorrono due ore, ormai si è fatto buio e Camilla, distratta dai pensieri dei suoi diciassette anni, si è attardata a fare compere. Giunge al magazzino con le borse della spesa colme e con la certezza di non trovare più nessuno. Apre la porta e le arrivano quelle poche note di Beethoven. Menomale, qui il tempo si è fermato! A quel punto, con la spontaneità della giovinezza, si rivolge a lui:”Maestro, ma non le sembra perfetta così?”, e in risposta: “Non ancora…”. Quella sera Arturo Benedetti Michelangeli si sente proprio come a casa, con Giuseppe, sua moglie Alba e i quattro figli. Sbircia tra la collezione dei Topolino dell’ultimogenito e fa onore alla tavola. Quel pianista che incute tanto timore dal palco ed è tra i più ammirati per eccellenza, si è lasciato andare al timbro del modello 10, al minestrone, alle polpette e ai fumetti di Walt Disney. E ha trovato il suono perfetto delle tre note.


lunedì 7 aprile 2025

  

Appunti di artista per "Sulla soglia dell'eternità" - Vincent van Gogh (1890)




La storia di questo quadro racconta la sospensione, il limite tra la risoluzione di un problema e il compimento di un atto. Nell’opera di Van Gogh “Sulla soglia dell’eternità” è tutto espresso con le pennellate, coi colori: superflue le parole descrittive, perché quello che l’osservatore vede è proprio il sentimento tradotto in immagine. La persona ritratta è un veterano di guerra, certamente disperato. Il vuoto intorno a lui è di per sé suggestivo, e ancor più le fiamme che ardono al suo fianco; ciò che brucia fuori è la sua anima, il suo strazio. La posizione fetale della figura coglie la visione di chiusura verso l’esterno, e i vestiti colorati di blu, il bianco intorno, ne raccontano la precisa, fredda, scelta cromatica in tavolozza. L’uomo ritratto ha un nome e cognome, ma è molto probabile che la tela sia autodescrittiva di uno stato d’animo personale di Vincent, poiché realizzata nel periodo di isolamento trascorso all’ospedale di Saint-Rémy-de-Provence, in cura psichiatrica. Pochi mesi dopo la realizzazione di questa toccante opera, Van Gogh morirà a causa di un colpo di arma da fuoco: si pensa autoinflitta, anche se le circostanze misteriose lasciano aperte anche le ipotesi di uno sparo accidentale.  

              Appunti di artista per "La Dama col liocorno" - Raffaello Sanzio (1505-1506)



Questo quadro conserva una lunga storia sotto i vari strati delle sue pennellate. L'opera acquisita dalla famiglia Borghese si presentava in differenti vesti: la dama rappresentava Santa Caterina d'Alessandria avvolta da un manto che le copriva le spalle e non compariva tra le sue mani alcun animaletto. Proprio le mani destarono le prime perplessità tra gli storici d'arte in riferimento alla sua attribuzione poiché la loro esecuzione non era in stile coi tratti del viso. Fu la prima indagine radiografica italiana ad autorizzare l'importante restauro del 1935 e a metterne in luce alcune sovrapposizioni di colore in diverse aree. Perciò, vennero rimossi il coprispalle, la palma e la ruota dentata (gli attributi di santità), nonché le mani e, finalmente, fu svelato il capolavoro originale di Raffaello. Da qui la sua definitiva attribuzione. La giovane con la pelle lattea, i capelli biondi e gli occhi azzurri stringeva ora un liocorno! Ma non è tutto: l'esame radiografico evidenziò che il mitologico animale (simbolo della purezza verginale) fu modificato in seguito ad un ripensamento dell'artista e inizialmente non era altro che un piccolo cane (simbolo di fedeltà coniugale). Tanto si è scoperto dell'opera ma poche certezze si hanno della sua protagonista. Resta immutato nel tempo il suo sguardo, oltre la tela, ma non conosceremo mai il suo legame con quel cane. 


 

venerdì 4 aprile 2025

Appunti di artista per Alphaeus Philemon Cole (Autoritratto 1942)



L’artista statunitense Alphaeus Philemon Cole è stato un pittore e incisore molto longevo. Dopo gli studi in Italia, si trasferì in Francia e in Inghilterra, poi rientrò negli Stati Uniti, con un buon bagaglio di successi ed esperienze e un matrimonio con la scultrice inglese Margaret W. Walmsley. Ritrattista di pregio e raffinato incisore, di lui si ricorda però la lunghissima attività artistica: dipinse con passione fino alla sorprendente età di 103 anni.  Quale ingrediente occorre aggiungere alle proprie giornate, per godere di ogni momento, quasi per l’eternità? Cole ci dimostra che la sensibilità e la creatività sono fattori importanti, insieme ad un impegno mentale e concreto, rivolto all’appagamento proprio ma anche degli altri. Da citare la sua rivoluzionaria presenza tra i giudici in una famosa galleria d’arte a New York, precursore di quelle figure che oggi imperano nei talent televisivi, oltre a vivere da anticonformista gli ultimi decenni della sua vita al Chelsea Hotel.  Si spense all’età di 112 anni, e resta l’artista più longevo di sempre.

 

Appunti di artista per: Milano e la leggenda della Scrofa Semilanuta.


Questa è la storia di Belloveso. Nasce in Gallia, intorno al 600 a.C. E’ un principe dal fisico strutturato, ha i capelli lunghi color rame e si veste di pellame, secondo la moda. E’ nipote di Re Ambigato, dell’antica tribù celtica dei Biturigi, e viene convocato sotto la tenda del "grande capo" insieme al fratello Segoveso. La crisi economica in atto non lascia alternative: i giovanotti dovranno partire alla conquista di nuovi territori per il mondo, non prima di aver consultato l’oracolo. Le mete sono differenti: Segoveso procederà lungo il fiume Danubio, verso la Transilvania, mentre Belloveso supererà le Alpi e raggiungerà la pianura padana. Qui ci occupiamo dei fatti avvenuti nel nostro paese. Superate le montagne e intrattenutosi in rapporti diplomatici, strada facendo, con il suo gruppo di soldati, il bel condottiero si ritrova davanti ad un paesaggio lagunare e fangoso, al cospetto di una scrofa semilanuta, animale sacro ai galli, tale e quale al simbolo stampigliato sul suo scudo. Lo interpreta come un segno propiziatorio e decide di fondare una città in quel luogo di incontro. La chiamerà Medhe-lan, in latino Medio-lanum. Così la scrofa semilanuta diventa il simbolo della città di Milano per molti secoli, fino a quando il biscione dei Visconti la rimpiazzerà. Seppur in pietra, lei è ancora là, scolpita in un capitello a bassorilievo in Piazza dei Mercanti, e si confronta quotidianamente con i conquistatori moderni.

 

 

  



mercoledì 2 aprile 2025

                       Appunti di artista: la storia di Pablo Picasso e del suo cane Lump.


Pablo Picasso ebbe un rapporto speciale col suo cane bassotto Lump. La storia tra loro nacque durante l’incontro tra il pittore e David Duncan Douglas, un fotoreporter americano famoso per le sue drammatiche fotografie di combattimento, che si presentò nella residenza di Cannes con il piccolo cane adottato qualche mese prima. Mentre nasceva l’amicizia tra Picasso e il suo ospite, il vivace animaletto gironzolava nelle stanze, tra sculture e quadri. E’ sfacciato, come tutti i cuccioli: fa pipì contro la statua di bronzo in giardino e si riposa, senza pudore, sul divano. Questo suo carattere esuberante conquista e diverte il padrone di casa e, quando Douglas fa per congedarsi, entrambi notano il disappunto del cane nel voler lasciare quei luoghi con oggetti così curiosi e particolari. E, a quel punto, Picasso decide di prendersi cura di lui. C’è intesa fra i due, sono indipendenti, hanno i loro spazi e si cercano reciprocamente per le coccole. Lump è un cane sensibile agli umori dell’artista ed è anche l’unico che riesce a farsi prendere in braccio da lui, a dispetto di Yan, l’altro cane di casa, e Esmeralda, la capretta. Dopo sei anni di reciproca compagnia, Lump inizia a manifestare i sintomi di una malattia alla spina dorsale e il verdetto del veterinario è tragicamente infausto e ne consiglia la soppressione. L’amico Douglas suggerisce però un intervento chirurgico, in Germania, che avrà effettivamente buon esito, anche se il bassotto rimarrà paralizzato alle zampe posteriori. Dopo un anno di cure e attenzioni, il fotografo decide di recarsi con lui da Picasso ma, dinnanzi al cancello Lump reagisce, si impone, e non entra. Così come decise da chi farsi amare durante la sua vita, altrettanto decise il momento di separarsene. Rimase un sottile rapporto tra loro, tanto forte da vederli morire entrambi, nell’aprile del 1973, a distanza di una settimana l’uno dall’atro. Picasso così lo descrisse: “Lump non è un cane e nemmeno un piccolo uomo: è altro”(eccolo, in primo piano, nell’opera “Las Meninas”).

martedì 1 aprile 2025


                            Appunti di artista per "Bottega di Barbiere" - Erich Heckel (1913)


Il pittore tedesco Erich Heckel è stato tra i fondatori del movimento artistico Die Brucke (il ponte), il gruppo che costituì un collegamento tra la pittura accademica e il moderno espressionismo. Nelle sue tele dominano i colori puri, molto diluiti, e le sue pennellate si spostano con libertà oltre i contorni chiusi dalle forme. I paesaggi descritti dalle sue tele si alternano con le figure umane malinconiche e addolorate, secondo un criterio di introspezione e non di realismo: rimane comprensibile la necessità di Heckel di voler rappresentare le tematiche della morte, perché mossa dalla sua scioccante esperienza nel corpo sanitario, durante la prima guerra mondiale. L'olio su tela "Bottega di Barbiere" mette in risalto la figura di un uomo intento al taglio dei capelli in una posa innaturale, col braccio piegato a triangolo sopra la propria testa: curiosamente, quella posizione geometrica viene riproposta nell'architettura degli specchi del negozio ed evoca le arcate gotiche delle cattedrali, quasi a regalare sacralità al gesto. Anche il cliente, avvolto nella mantella, struttura una sagoma triangolare. Evidenti anche le linee aggressive e spigolose che raccontano di forbici e pettini appuntiti, in contrasto col gesto delicato e accurato del taglio.


               Appunti di artista per "Autoritratto con collana di spine" - Frida Kahlo (1940)



La sofferenza è una nemica che duella con la forza d'animo: però, spesso, ne esce sconfitta. La pittrice messicana Frida Kahlo ebbe una vita minata nella salute sin dalla nascita - a causa della spina bifida-, cui seguì, in adolescenza, un gravissimo incidente che le causò la frattura della colonna vertebrale, del collo, del femore, danni all'anca e in molte altre parti del corpo. Costretta ad un lungo periodo di forzato riposo, ingessata a letto, dopo oltre trenta operazioni chirurgiche, si dedicò con grande passione alla lettura e alla pittura. In quegli anni di sofferenza nascono una serie di tele descrittive del suo tormento, che la vedono protagonista martirizzata o in oniriche composizioni. Nell'olio su tela "Autoritratto con collana di spine" l'artista si pone al centro e il suo sguardo è diretto all'osservatore; un gatto nero e una scimmia (regalo del marito, dal quale aveva appena divorziato) la attorniano, mentre una collana di spine, con appeso un colibrì, le trafigge la gola. Fra i capelli, sull'elaborata acconciatura, riposano due farfalle e sopra il capo volteggiano due libellule/fiore. L'interpretazione più diffusa attribuisce agli animali presenti, in special modo al colibrì che nella sua posizione riporta all'immagine di un crocifisso, un richiamo al sacrificio cristiano e all'arte popolare messicana. La omaggia la natura con un grande abbraccio di foglie verdi.