Appunti di artista per "Il Grande Vetro" - Marcel Duchamp (1915/1923)
Lui è Henri-Robert-Marcel. Nasce a Blainville-Crevon il 28 luglio 1887. Quarto di sette
fratelli, adora il padre Eugène mentre della mamma Lucie dice che è alquanto noiosa.
E’ un ragazzo culturalmente vivace; si iscrive alla scuola delle belle arti a
Parigi ma trascorre le sue mattine giocando a biliardo e viene bocciato. Grazie
all’elevata posizione economica del padre notaio, riesce a viaggiare tra la
Francia e gli Stati Uniti e frequenta i maggiori esponenti dei gruppi dell’avanguardia
del Novecento, in entrambi i continenti. Ne assorbe, quindi, la modernità di
stile e i cambiamenti, pur mantenendo una produzione artistica personale che
contrappone la sua pittura concettuale a quella puramente visiva o, per sua
definizione, ”olfattiva e retinica”. A
venticinque anni, presenta al Salon des Indépendants di Parigi un quadro che
riceve notevoli critiche dalla commissione selezionatrice, e per protesta lo
ritira. Quando lo stesso quadro riscuote perplessità all’Armony Show di New
York, Marcel decide che non dipingerà più nessuna tela e abbandonerà i mezzi
espressivi convenzionali. Ha le idee chiare e forse, per questo, in America già
si parla di lui. Marcel pensa che estrapolando un oggetto dal suo contesto d’uso
ordinario lo si possa vestire con abiti nuovi. Così, una mattina, si ritrova a
smontare la ruota anteriore della bicicletta e la stabilizza sopra uno sgabello
in legno, tramite la forcella. Nasce la sua prima opera d’arte di “ready-made”,
ossia “pronto all’uso”: ha unito l'ovvietà delle forme di due oggetti, che
non hanno nulla in comune, e ha creato nuova vita a quella ruota nera protuberante
dallo sgabello bianco: se la si tocca lei gira, ma non si muove da lì. Il vero
peccato di incomprensione è stato commesso dalla madre e dalla sorella, che lo
hanno gettato per via della ruggine, durante le pulizie in studio. Marcel è
sicuramente un giovane provocatore e conserva un sottofondo ironico nel
compimento del gesto anti-artistico; lo segue nelle sue prodezze un grande
fotografo e amico (Man Ray), che non manca di documentare in bianco e nero la
sua genialità, le sue pose in abiti da donna o il suo viso ricoperto di schiuma
da barba. E’ provocatore anche la volta in cui, entrando in un negozio di
sanitari, e colti i tratti di una Madonna rinascimentale nella sagoma di un
orinatoio capovolto, decide di acquistare l’oggetto, lo firma con uno
pseudonimo e lo spedisce, senza un minimo intervento di modifica, ad una mostra
di artisti indipendenti newyorkesi, in cui lui stesso rientra fra i commissari.
E’ l’unica opera esclusa, e accantonata, tra le 2135 proposte, perché ritenuta
immorale. Poi, è stata buttata dagli operai che hanno smantellato la
manifestazione perché scambiata per un… autentico orinatoio. Restano le
fotografie della “Ruota di bicicletta” e di “Fontana”, a testimonianza della
loro non-esistenza. Ciò rientra nella sua visione di arte concettuale, secondo
cui un’idea può sopravvivere all’opera stessa, e comunque nulla vieta di
produrne dei multipli. Sarebbe, invece, complicato replicare ciò a cui sta
lavorando da molti anni. Il progetto è
piuttosto complesso e riporta alla mente la fissità degli insetti
inglobati e immobilizzati dall’ambra. Qui, lui pensa di bloccare una sposa e nove figure
maschili fra due gigantesche lastre di vetro, stretti in una cornice di acciaio.
Usa polvere e fili di piombo, un po’ di vernice, biacca, fogli d’argento e crea
nella parte superiore una figura femminile filiforme, che ricorda una mantide religiosa,
e nella parte sottostante alcuni uomini rappresentati, per categorie
lavorative, soltanto dai loro abiti. A rendere criptico l’insieme, c’è anche
una macchina macinatrice di cioccolato. A lui piace il silenzio di ciò che
mostra, la trasparenza della scena e l’impossibilità di un contatto fra lo
spazio femminile e quello maschile. C’è distanza, elevazione e desiderio.
Schizzi, nuove versioni, revisioni. Poi, forse, tante idee lo sfiniscono e si esaurisce
anche la volontà di ultimare l’opera. Dopo otto anni, decide che il suo lavoro
è “definitivamente incompiuto”. Però il pezzo riscuote molto successo, anche
così incomprensibile, e i musei se lo contendono per esporlo. Durante un
trasferimento verso Philadelphia, accade l’irrimediabile. Il camionista che ha preso
in carico la consegna, dentro una cassa di legno, non si cura di guidare coi
riguardi del caso e non presta attenzione alle buche e ai dossi delle lunghe
strade della Pennsylvania. Giunto a destinazione, il direttore si ritrova
frammenti di vetro sparsi e la superficie delle due lastre ramificate dalle
fratture, come una vera ragnatela. Avvisa Marcel dell’accaduto. Lui si presenta
serafico, con la pipa in bocca. Guarda la sua composizione, le gira intorno un
paio di volte e non proferisce parola. Al terzo giro si rivolge al direttore: ”…ma
è bellissima così, è stata la casualità a modificarla”. L’opera “Mariée mise à nu par ses célibataires,
même” (anche chiamato “Il Grande Vetro”) è ritenuto il più interessante
esempio di sperimentazione artistica del ventesimo secolo. Marcel Duchamp, dopo
dieci anni, ha saldato i frammenti staccatisi nella parte maggiormente danneggiata
ed ha applicato altre due lastre di vetro sopra quelle con le crepe. Gli
storici dell’arte non hanno formulato una univoca interpretazione del suo
significato.