domenica 25 maggio 2025

 Appunti di artista per "Il Grande Vetro" - Marcel Duchamp (1915/1923)





Lui è Henri-Robert-Marcel. Nasce a Blainville-Crevon il 28 luglio 1887. Quarto di sette fratelli, adora il padre Eugène mentre della mamma Lucie dice che è alquanto noiosa. E’ un ragazzo culturalmente vivace; si iscrive alla scuola delle belle arti a Parigi ma trascorre le sue mattine giocando a biliardo e viene bocciato. Grazie all’elevata posizione economica del padre notaio, riesce a viaggiare tra la Francia e gli Stati Uniti e frequenta i maggiori esponenti dei gruppi dell’avanguardia del Novecento, in entrambi i continenti. Ne assorbe, quindi, la modernità di stile e i cambiamenti, pur mantenendo una produzione artistica personale che contrappone la sua pittura concettuale a quella puramente visiva o, per sua definizione,  ”olfattiva e retinica”. A venticinque anni, presenta al Salon des Indépendants di Parigi un quadro che riceve notevoli critiche dalla commissione selezionatrice, e per protesta lo ritira. Quando lo stesso quadro riscuote perplessità all’Armony Show di New York, Marcel decide che non dipingerà più nessuna tela e abbandonerà i mezzi espressivi convenzionali. Ha le idee chiare e forse, per questo, in America già si parla di lui. Marcel pensa che estrapolando un oggetto dal suo contesto d’uso ordinario lo si possa vestire con abiti nuovi. Così, una mattina, si ritrova a smontare la ruota anteriore della bicicletta e la stabilizza sopra uno sgabello in legno, tramite la forcella. Nasce la sua prima opera d’arte di “ready-made”, ossia “pronto all’uso”: ha unito l'ovvietà delle forme di due oggetti, che non hanno nulla in comune, e ha creato nuova vita a quella ruota nera protuberante dallo sgabello bianco: se la si tocca lei gira, ma non si muove da lì. Il vero peccato di incomprensione è stato commesso dalla madre e dalla sorella, che lo hanno gettato per via della ruggine, durante le pulizie in studio. Marcel è sicuramente un giovane provocatore e conserva un sottofondo ironico nel compimento del gesto anti-artistico; lo segue nelle sue prodezze un grande fotografo e amico (Man Ray), che non manca di documentare in bianco e nero la sua genialità, le sue pose in abiti da donna o il suo viso ricoperto di schiuma da barba. E’ provocatore anche la volta in cui, entrando in un negozio di sanitari, e colti i tratti di una Madonna rinascimentale nella sagoma di un orinatoio capovolto, decide di acquistare l’oggetto, lo firma con uno pseudonimo e lo spedisce, senza un minimo intervento di modifica, ad una mostra di artisti indipendenti newyorkesi, in cui lui stesso rientra fra i commissari. E’ l’unica opera esclusa, e accantonata, tra le 2135 proposte, perché ritenuta immorale. Poi, è stata buttata dagli operai che hanno smantellato la manifestazione perché scambiata per un… autentico orinatoio. Restano le fotografie della “Ruota di bicicletta” e di “Fontana”, a testimonianza della loro non-esistenza. Ciò rientra nella sua visione di arte concettuale, secondo cui un’idea può sopravvivere all’opera stessa, e comunque nulla vieta di produrne dei multipli. Sarebbe, invece, complicato replicare ciò a cui sta lavorando da molti anni. Il progetto è  piuttosto complesso e riporta alla mente la fissità degli insetti inglobati e immobilizzati dall’ambra. Qui, lui  pensa di bloccare una sposa e nove figure maschili fra due gigantesche lastre di vetro, stretti in una cornice di acciaio. Usa polvere e fili di piombo, un po’ di vernice, biacca, fogli d’argento e crea nella parte superiore una figura femminile filiforme, che ricorda una mantide religiosa, e nella parte sottostante alcuni uomini rappresentati, per categorie lavorative, soltanto dai loro abiti. A rendere criptico l’insieme, c’è anche una macchina macinatrice di cioccolato. A lui piace il silenzio di ciò che mostra, la trasparenza della scena e l’impossibilità di un contatto fra lo spazio femminile e quello maschile. C’è distanza, elevazione e desiderio. Schizzi, nuove versioni, revisioni. Poi, forse, tante idee lo sfiniscono e si esaurisce anche la volontà di ultimare l’opera. Dopo otto anni, decide che il suo lavoro è “definitivamente incompiuto”. Però il pezzo riscuote molto successo, anche così incomprensibile, e i musei se lo contendono per esporlo. Durante un trasferimento verso Philadelphia, accade l’irrimediabile. Il camionista che ha preso in carico la consegna, dentro una cassa di legno, non si cura di guidare coi riguardi del caso e non presta attenzione alle buche e ai dossi delle lunghe strade della Pennsylvania. Giunto a destinazione, il direttore si ritrova frammenti di vetro sparsi e la superficie delle due lastre ramificate dalle fratture, come una vera ragnatela. Avvisa Marcel dell’accaduto. Lui si presenta serafico, con la pipa in bocca. Guarda la sua composizione, le gira intorno un paio di volte e non proferisce parola. Al terzo giro si rivolge al direttore: ”…ma è bellissima così, è stata la casualità a modificarla”. L’opera “Mariée mise à nu par ses célibataires, même” (anche chiamato “Il Grande Vetro”) è ritenuto il più interessante esempio di sperimentazione artistica del ventesimo secolo. Marcel Duchamp, dopo dieci anni, ha saldato i frammenti staccatisi nella parte maggiormente danneggiata ed ha applicato altre due lastre di vetro sopra quelle con le crepe. Gli storici dell’arte non hanno formulato una univoca interpretazione del suo significato.

sabato 17 maggio 2025

Appunti di artista per: "La sedia di Vincent" e "La sedia di Gauguin"

 - Van Gogh (1888)



 

Amicizia, quotidianità, condivisione. Incomprensioni, disaccordi, estraneità. Per un artista sono parole che hanno un senso quando non rimangono relegate nel vocabolario ma diventano immagini. E possono trasformarsi... in sedie. Vincent Van Gogh possedeva due sedie, a lui molto care: la sua, una comune da cucina, con la seduta di paglia gialla e la struttura in legno chiaro, grezzo; l'altra, di Gauguin, era ben più elegante, da salotto, con l'accurato intreccio della paglia verdastra, di legno scuro, coi braccioli e lo schienale sagomati. Erano le sedie che arredavano la casa di Arles in cui abitarono per qualche tempo e, a loro modo, furono le testimoni delle conversazioni e dei progetti artistici dei due pittori: ma le continue discussioni e i ripetuti litigi causarono l'allontanamento definitivo di Gauguin. Così, dopo quella separazione, anche gli oggetti vivono una nuova vita e, forse, l'unico modo per fissare nella memoria il senso del loro esistere è fermare il tempo e le emozioni, in una immagine. Ecco, la tela prende forma. La sedia vuota dell'amico, su cui poggiano due libri e una candela, sostituisce la "non presenza" con l'immagine della sua assenza: lui è ciò che ha lasciato. Un grande vuoto. Per Vincent non passò molto tempo al manifestarsi del primo gesto di sofferenza, con l'amputazione del proprio orecchio, e poi, seguirono altri periodi bui che lo condussero alla follia. Ma quelle sedie ci parlano ancora di loro due, di un'amicizia complicata e della poesia di quegli oggetti, che somigliano, davvero, alle anime di chi li ha posseduti. Di seguito, le parole che Vincent scrisse al fratello Théo: "Intanto posso già dirti che i due ultimi studi sono molto strani. Quadri da 30, una sedia di legno e di paglia giallo piceno su un pavimento di mattoni rossi contro la parete (giorno). Poi la sedia di Gauguin, rosso e verde, umore notturno, pareti e pavimento anch'essi rosso e verde, sul sedile due romanzi e una candela. Su tela e in strato spesso".



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