mercoledì 9 aprile 2025

Appunti di artista: il Maestro Arturo Benedetti Michelangeli



  

Lui si chiama Arturo e nasce a Brescia il 5 gennaio 1920. Il padre Giuseppe è un avvocato che, per diletto, insegna storia della musica. Anche mamma Angela condivide la stessa passione per l’arte dei suoni e fra spartiti e armonizzazioni il piccolo Arturo si esprime al pianoforte già a tre anni. A quattordici esce dal portone del Conservatorio di Milano col diploma in tasca e a diciotto dà sfoggio della sua impeccabile perizia ad un concorso presieduto da Arthur Rubinstein. Vince concorsi, poi ottiene cattedre e lo definiscono il nuovo Liszt, ma lui rimane con le mani ben salde sui tasti, nel suo mondo fatto di musica. Studia meticolosamente ogni composizione e dopo infinite ripetizioni di battute musicali raggiunge la perfezione esecutiva al punto che Chopin, Mozart o Bach sembrano seduti al suo fianco, a prestargli le loro mani. E gira il mondo per concerti con un ingombrante bagaglio al seguito, il suo pianoforte a coda Steinway & Sons. In questo periodo è di passaggio a Milano e, come spesso accade, si prepara per un piacevole incontro con Giuseppe, un amico, tra i migliori accordatori che conosca. Il sciur Pepin, come lo chiama, è anche tra i pochi rappresentanti multimarche di pianoforti, e una visita al suo magazzino significa poter ascoltare “la voce” degli Schiedmayer o gli Scholze o gli italiani Anelli di Cremona: in quest’ultima marca ne rientra uno, il modello verticale 10, che rapisce la sua curiosità, per il timbro potente e pieno. Giuseppe lo aspetta sulla porta, col suo camice nero e lo sguardo trasparente; Arturo lo abbraccia sorridente e pallido. Dopo le chiacchiere, l’uno resta nello stanzone di sinistra tra i pianoforti scordati, l’altro si dirige a destra tra quelli ritornati a cantare. “Papà, è arrivato il Maestro?” “Sì, Camilla, è andato a suonare un po’. Si fermerà a cena, passa dal macellaio”. Lei si sofferma qualche minuto, nel corridoio che unisce quei due mondi che si completano: le mani di suo padre accarezzano le corde, quelle di Arturo i tasti, ma entrambi usano la medesima sensibilità e lo stesso cuore. La ragazza riconosce le note della quarta battuta di “Per Elisa” di Beethoven, e poi esce. Arturo è seduto allo sgabello, muove le dita con garbo e suona solo tre note, le ripete, in cerca della loro armonia. Poi, ricomincia da capo. Si avvicina col viso alla tastiera, quasi ad andare incontro al suono. E ancora, le stesse tre note. Ancora. Chiude gli occhi, si sofferma e riprende. Trascorrono due ore, ormai si è fatto buio e Camilla, distratta dai pensieri dei suoi diciassette anni, si è attardata a fare compere. Giunge al magazzino con le borse della spesa colme e con la certezza di non trovare più nessuno. Apre la porta e le arrivano quelle poche note di Beethoven. Menomale, qui il tempo si è fermato! A quel punto, con la spontaneità della giovinezza, si rivolge a lui:”Maestro, ma non le sembra perfetta così?”, e in risposta: “Non ancora…”. Quella sera Arturo Benedetti Michelangeli si sente proprio come a casa, con Giuseppe, sua moglie Alba e i quattro figli. Sbircia tra la collezione dei Topolino dell’ultimogenito e fa onore alla tavola. Quel pianista che incute tanto timore dal palco ed è tra i più ammirati per eccellenza, si è lasciato andare al timbro del modello 10, al minestrone, alle polpette e ai fumetti di Walt Disney. E ha trovato il suono perfetto delle tre note.


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