Lui si chiama Arturo e nasce a Brescia il 5 gennaio 1920.
Il padre Giuseppe è un avvocato che, per diletto, insegna storia della musica.
Anche mamma Angela condivide la stessa passione per l’arte dei suoni e fra
spartiti e armonizzazioni il piccolo Arturo si esprime al pianoforte già a tre
anni. A quattordici esce dal portone del Conservatorio di Milano col diploma in
tasca e a diciotto dà sfoggio della sua impeccabile perizia ad un concorso
presieduto da Arthur Rubinstein. Vince concorsi, poi ottiene cattedre e lo
definiscono il nuovo Liszt, ma lui rimane con le mani ben salde sui tasti, nel
suo mondo fatto di musica. Studia meticolosamente ogni composizione e dopo
infinite ripetizioni di battute musicali raggiunge la perfezione esecutiva al
punto che Chopin, Mozart o Bach sembrano seduti al suo fianco, a prestargli le
loro mani. E gira il mondo per concerti con un ingombrante bagaglio al seguito,
il suo pianoforte a coda Steinway & Sons. In questo periodo è di passaggio
a Milano e, come spesso accade, si prepara per un piacevole incontro con
Giuseppe, un amico, tra i migliori accordatori che conosca. Il sciur Pepin,
come lo chiama, è anche tra i pochi rappresentanti multimarche di pianoforti, e
una visita al suo magazzino significa poter ascoltare “la voce” degli
Schiedmayer o gli Scholze o gli italiani Anelli di Cremona: in quest’ultima
marca ne rientra uno, il modello verticale 10, che rapisce la sua curiosità,
per il timbro potente e pieno. Giuseppe lo aspetta sulla porta, col suo camice
nero e lo sguardo trasparente; Arturo lo abbraccia sorridente e pallido. Dopo
le chiacchiere, l’uno resta nello stanzone di sinistra tra i pianoforti
scordati, l’altro si dirige a destra tra quelli ritornati a cantare. “Papà, è
arrivato il Maestro?” “Sì, Camilla, è andato a suonare un po’. Si fermerà a
cena, passa dal macellaio”. Lei si sofferma qualche minuto, nel corridoio che
unisce quei due mondi che si completano: le mani di suo padre accarezzano le
corde, quelle di Arturo i tasti, ma entrambi usano la medesima sensibilità e lo
stesso cuore. La ragazza riconosce le note della quarta battuta di “Per Elisa”
di Beethoven, e poi esce. Arturo è seduto allo sgabello, muove le dita con
garbo e suona solo tre note, le ripete, in cerca della loro armonia. Poi,
ricomincia da capo. Si avvicina col viso alla tastiera, quasi ad andare
incontro al suono. E ancora, le stesse tre note. Ancora. Chiude gli occhi, si
sofferma e riprende. Trascorrono due ore, ormai si è fatto buio e Camilla,
distratta dai pensieri dei suoi diciassette anni, si è attardata a fare
compere. Giunge al magazzino con le borse della spesa colme e con la certezza
di non trovare più nessuno. Apre la porta e le arrivano quelle poche note di
Beethoven. Menomale, qui il tempo si è fermato! A quel punto, con la
spontaneità della giovinezza, si rivolge a lui:”Maestro, ma non le sembra
perfetta così?”, e in risposta: “Non ancora…”. Quella sera Arturo Benedetti
Michelangeli si sente proprio come a casa, con Giuseppe, sua moglie Alba e i
quattro figli. Sbircia tra la collezione dei Topolino dell’ultimogenito e fa
onore alla tavola. Quel pianista che incute tanto timore dal palco ed è tra i
più ammirati per eccellenza, si è lasciato andare al timbro del modello 10, al
minestrone, alle polpette e ai fumetti di Walt Disney. E ha trovato il suono
perfetto delle tre note.
mercoledì 9 aprile 2025
Appunti di artista: il Maestro Arturo Benedetti Michelangeli
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